È con grande piacere e soddisfazione che inauguriamo PAREVOLUTION, la rubrica originale Global Shapers Palermo con cui vi accompagniamo alla scoperta dei volti, delle storie e delle esperienze di chi ha cambiato, e sta cambiando, Palermo e la Sicilia. Ci troviamo di fronte a un momento cruciale per il futuro del capoluogo trinacrio, chiamato ad un risveglio culturale, economico e digitale e a diventare un polo strategico per il Sud Italia e il Mediterraneo. Come guidare la rivoluzione? Quali idee, quali progetti, quali cambiamenti mettere in atto per costruire la Palermo di domani? Vogliamo provare a scoprirlo intervistando le persone che questa rivoluzione la stanno facendo e vivendo quotidianamente, mettendo al servizio della propria terra visione, impegno, creatività, passione.
Per la prima tappa di Parevolution, abbiamo intervistato Mario Mirabile, fondatore e vicepresidente esecutivo di South Working.
GS: Come ti chiami? Quanti anni hai e dove sei nato?
M: Mi chiamo Mario Mirabile, ho 28 anni e sono nato a Palermo.
GS: Dove sei diventato adulto?
M: Ho vissuto un pò in giro. Inizialmente a Bologna per i miei studi, che ho proseguito per alcuni periodi anche in Spagna e in Messico. Lì ho avviato una bellissima esperienza all’interno di un’associazione accademica internazionale che mi accompagna ancora oggi e mi sta portando a sviluppare una rete globale di relazioni scientifiche. Dopo questo percorso all’estero, ho ritrovato l’Italia tornando a Bologna e con il Covid ho vissuto - come tanti - il rientro a Palermo, nella ‘mia’ Sicilia.
GS: Cosa hai studiato?
M: Ho studiato Scienze Politiche e Global Cultures, che è un misto tra politiche, economia, antropologia, sociologia e geografia. Adesso sto prendendo un master in Artificial Intelligence and Innovation Management.
GS: Come pensavi alla Sicilia quando sei andato via?
M: Innanzitutto, pensavo alla Sicilia. Tanto. Ma la pensavo distante, come un’isola - appunto - remota, forse irraggiungibile. Perché, come tante persone, sono stato costretto a lasciare la mia terra. In parte perché le mie aspirazioni professionali non coincidevano con il mercato del lavoro locale, in parte perché spinto dal desiderio di scoprire il mondo fuori.
GS: E dove ti trovi adesso?
M: Ho vissuto un lungo periodo a Palermo - quasi due anni - grazie al lancio di South Working che mi ha permesso di lavorare in tanti territori italiani, in particolare del Sud, avendo come base Palermo. Adesso mi trovo a Bologna da quasi sei mesi, ma i miei piani di vita mi riportano a Sud, già nel prossimo futuro.
GS: Che influenza hanno avuto il percorso e il tuo ambito di studio sulla tua condizione attuale?
M: Hanno avuto una importanza radicale! Credo che siamo ciò che ci circonda e le relazioni che creiamo: le persone che conosciamo, l’istinto che coltiviamo verso la conoscenza, la curiosità, la lettura. Il mio percorso mi ha influenzato a tal punto da sviluppare un pensiero critico che mi ha poi portato a fondare insieme ad altri amici South Working: una piattaforma che mi ha permesso di affrontare tematiche che mi stanno a cuore, come le disuguaglianze, la coesione e lo sviluppo delle infrastrutture. Tutto questo con uno spirito - appunto - critico ma sempre propositivo, che vuole quindi portare delle proposte innovative alle istituzioni e alle imprese.
GS: Adesso di cosa ti occupi?
M: Mi occupo di analisi e di attivismo. Mi occupo da tanti anni di lotta alla criminalità organizzata a favore della cultura della legalità. Attraverso South Working si è concretizzata una volontà di profondo cambiamento culturale per il Sud attraverso il lavoro. Nell’attività di analisi, mi occupo poi delle trasformazioni del territorio legate al mondo del lavoro, alle infrastrutture e all’esperienza del tessuto urbano. In particolare lo faccio come Social Impacts and Liveable Cities Advisor per una società londinese che si occupa di sostenibilità nel settore immobiliare, ma con una vocazione molto forte verso il mondo della ricerca. Tutto è iniziato con l’arrivo della pandemia. Prima mi occupavo di aspetti simili, ma nel mondo di fondazioni private, con un focus più legato ai processi partecipativi e al coinvolgimento delle comunità nei processi decisionali.
GS: Cosa è cambiato?
M: Nel marzo 2020, con alcuni colleghi e amici, ci siamo accorti che qualcosa intorno a noi stava cambiando forma. Abbiamo compreso prima di altri che il mondo del lavoro si stava trasformando in modo radicale a livello globale. Così abbiamo dato un nome a questo fenomeno.
GS: Cosa cerchi oggi?
M: Cerco risposte alle tante domande che ho sul futuro delle tecnologie e delle comunità locali. Cerco di essere utile al mondo che mi circonda e assumere una prospettiva propositiva dei contesti aziendali, accademici e sociali.
GS: Qual è la tua lettura della Sicilia oggi?
M: Si tratta di una terra complessa, lo sentiamo dire spesso e lo viviamo certamente sulla nostra pelle. Siamo in difficoltà. È quasi ridicolo il modo in cui certi processi siano così complicati da mettere in atto in Sicilia. Paradossalmente, siamo apprezzati all’estero prima ancora di essere amati in Sicilia. Come se la nostra terra si nutrisse di noi, divorandoci. Lo spazio di dialogo e di ragionamento è ridotto alle relazioni consolidate. Probabilmente anche a causa di una classe dirigente reticente a confrontarsi con persone giovani capaci di metterli di fronte a sfide concrete.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa scriveva bene nel Gattopardo: «Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagagliaio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto».
Ecco, credo che poco sia cambiato, ma non bisogna mai perdersi nel disfattismo, ma continuare a lottare per cambiare l’immobilismo attraverso piccoli e grandi gesti. Si avverte proprio la necessità di mettere in campo nuove energie. Questo desiderio lo vedo anche in alcuni politici emergenti in Sicilia e ciò mi da speranza. Oggi è il momento di agire: abbiamo voglia di cambiare le cose e di collaborare per un futuro diverso della nostra terra.
GS: Quindi qual è la tua visione per una nuova Sicilia?
M: Credo innanzitutto che dovremmo fare pace con noi stessi. Dobbiamo riconoscere i nostri limiti e poi raccontare una nuova Sicilia, anche sul piano estetico. Voglio dire: cosa ci distingue da ciò che sta accadendo negli altri Paesi del Mediterraneo? Come ci collochiamo rispetto al resto del mondo? Le differenze devono partire da un riconoscimento delle criticità del passato e del presente della Sicilia, inevitabilmente segnati dalla questione mafiosa, dalla corruzione, e dalla mancanza di visione e desiderio di cambiamento reale.
GS: Raccontaci allora le tue speranze e le tue paure…
M: Inizio dalla paura: temo terribilmente che il processo di cambiamento cui auspichiamo possa non avverarsi. Per condizioni di contesto, e non per la mancanza di volontà delle persone. Siamo entrati in un periodo particolarmente buio dopo la crisi del 2007/2008. Sembra impossibile per i giovani in Sicilia e in Italia riuscire a crearsi uno spazio per costruirsi una posizione nella società, visto un mercato del lavoro deprimente, l’andamento dei salari e la spinta innovativa a livello nazionale. Ciò è particolarmente vero per le donne, giovani e del Sud.
Spero, allora, che si possano avviare seri percorsi di formazione e “upskilling”, soprattutto in ambito tecnologico, sempre sviluppando uno spirito critico per una loro applicazione sicura, etica e sostenibile.
GS: Quali rimangono secondo te le sfide più gravi da fronteggiare?
M: Direi quelle sociali ed economiche. La pandemia ha creato un ulteriore sconvolgimento agli assetti già fragili dei territori del Sud e delle aree interne italiane, ma ci ha anche messo nelle condizioni di aprire nuovi scenari di cambiamento. Ci ha permesso di riordinare le nostre priorità personali e collettive.
GS: Prima di salutarci, ti va di condividere con noi un tuo motto?
M: Credo profondamente alla celebre frase di JFK che più o meno diceva: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. Ritengo che questo spirito dovrebbe contraddistinguere il nostro modo di agire presente e futuro, non interessando solo chi svolge un ruolo politico, ma anche chi fa impresa e tutti coloro che hanno la possibilità di creare un impatto sugli altri. Dal passato, la chiave di lettura di un mondo nuovo. Speriamo di poterlo dire nostro.
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